lunedì 7 dicembre 2015

Napoli e i suoi oggetti apotropaici

Etimologia: Apotropaios è parola greca che significa letteralmente "allontanante" da cui deriva l’italiano apotropaico, cioè di oggetto, gesto, o parola, che serve ad allontanare un’influenza magica, ritenuta maligna e dannosa per chi la riceve.
Numerosi sono gli oggetti apotropaici che si utilizzano per allontanare e scongiurare il malocchio. In particolare la nostra tradizione considera irrinunciabili alcuni di questi. Osserviamoli più da vicino:

il corno:
 Il corno è il più diffuso amuleto italiano. Le sue origini risalgono al Neolitico (3500 A.C.), quando gli abitanti delle capanne usavano porre fuori dall'uscio un corno come auspicio di fertilità. A quei tempi la fertilità era associata alla fortuna in quanto, più un popolo era fertile, più era potente e quindi fortunato. In altri tempi i corni erano usati come doni votivi alla Dea Iside, affinché la Dea Madre assistesse gli animali nel procreare. La mitologia ci informa che Giove donò alla sua nutrice un corno in segno di gratitudine, questo corno era dotato di virtù magiche in modo che, la nutrice, potesse ottenere tutto ciò che desiderava. Il suono del corno accompagnava, inoltre, i baccanali orgiastici nei quali si celebrava l’unione tra l’uomo e la natura. Il corno, come amuleto, trae le origini dalla sua forma: si pensa, infatti, che gli oggetti a punta difendano da cattive influenze e malasorte se portati con sé. Si dice che il corno per portare fortuna debba essere rosso, di terracotta o corallo, e artigianale.



Aglio:
L’aglio è legato a numerose superstizioni di tutti i tempi e Paesi. Probabilmente queste suggestioni nascono dal suo odore legato a particolari forme di zolfo e, da sempre, attribuito al mondo magico popolato da spiriti buoni o cattivi.
Una delle formule scaramantiche più diffuse nel nostro patrimonio folkloristico ha come protagonista proprio l’aglio. La filastrocca è stata diffusa da Peppino de Filippo che in televisione, negli anni Settanta, interpretava il ruolo di Pappagone, un personaggio goffo e pasticcione che prima di cacciarsi nei guai recitava:

“Aglio, fravaglio,
fattura ca nun quaglio,
corna, bicorna, capa r’alice e capa r’aglio
Sciò sciò ciucciuvè..”

Peperoncino:

Quando il peperoncino venne importato dal Sud America nell’ Italia  meridionale, fu immediatamente associato al cornetto portafortuna. Oltre che essere utilizzato in cucina, iniziò ad essere appeso nelle case e nei negozi per difendersi dal malocchio, diventando in breve tempo un sostituto a buon mercato del corno. Era molto usato anche per ottenere protezione contro l’infedeltà e se uno dei coniugi sospettava che l’altro lo tradisse, metteva due peperoncini rossi essiccati sotto al cuscino per riconquistarne la fedeltà. Inoltre, se venivano legati a forma di croce con un nastro rosso si credeva che la protezione fosse maggiore.
Il peperoncino era sparso, a piene mani, nelle case per proteggere una persona che si pensava avesse il malocchio.
Nella tradizione contadina, collane di peperoncini erano regalate agli sposi, dai genitori, come promessa di aiuto in caso di necessità. Per scacciare la sfortuna nel medioevo, le donne tenevano nascosto un pezzetto di peperoncino in un oggetto personale o in tasca. Con il passare del tempo il peperoncino naturale e il vecchio cornetto rosso si sono fusi in un unico amuleto assumendo così la forza di entrambi.

Ferro di cavallo:

Il ferro di cavallo trae la sua funzione apotropaica dalla sua forma che ricorda l’apparato genitale femminile. Era credenza popolare, infatti, che il malocchio e il maligno potessero essere distratti e dissuasi inducendoli in tentazioni femminili da natura sessuale.
Il ferro di cavallo è appeso fuori la porta d’ingresso: rivolto verso l’alto porterà fortuna e fertilità, verso il basso, invece, porterà sfortuna.



Le figure della superstizione partenopea

Molti personaggi della nostra tradizione folkloristica sono protagonisti di numerose leggende legate al malocchio e alla superstizione popolare.

Pulcinella:

Il rito della maschera di Pulcinella appartiene a quelle serie di credenze popolari che si svilupparono a Napoli dai secoli Seicento e Settecento, periodo in cui la città fu sconvolta da numerosi eventi.
Nel 1620 Silvio Fiorillo inventò la maschera di Pulcinella. Il suo reale significato lo troviamo nel libro di Domenico Scarfoglio sulle maschere. Il libro ci suggerisce che Pulcinella rappresenta in tutto Napoli. Il suo nome deriva da “pulcino”, infatti, la maschera nasce dal guscio di un uovo che fu impastato da due fattucchiere, Dragoncina e Colombina, le quali posero come ingredienti una buona dose di rabbia, ira, bestemmie e il grasso di una capra sacrificata a Maometto. L’uovo fu poi posto da Plutone sul Vesuvio che gli antichi credevano, essere figura dell’Inferno. Tutto ciò che concerne la figura di Pulcinella, ci rimanda ai riti satanici: la sua fisionomia, il suo vestito, il naso lungo gibboso e affinato, il cappello biforcuto, la maschera nera e il neo sulla fronte simile a un corno.
Con il tempo Pulcinella, attraverso l’interpretazione di Ottavio Feuillet il quale gli ha lasciato i suoi poteri diabolici facendolo nascere addirittura dall'unione tra Dio e il diavolo, è stato conosciuto come difensore dei deboli e nemico dei potenti malvagi.

N’censiere:

Per i vicoli di Napoli si aggira una caratteristica figura popolare, vestita con tanto di marsina e feluca da ufficiale della marina, la quale, agitando una piccola scatola di latta a mo’ di incensiere, effonde tutt’intorno dell’incenso che brucia allo scopo di allontanare le forze malefiche. Il rito, naturalmente, è accompagnato dallo scongiuro: uocchie e maluocchie e furticielle a ll’uocchie: schiatta la mmidia e crepano ’e maluocchie. 
Quando passa ll’auciello ’e malaurio, mentre si allontana, bisogna gettare una manciata di sale, perché con lui vada via la sfortuna che trasmette con la sua presenza.
Ed a proposito di auciello ’e malaurio, così è apostrofata la persona con fama di iettatore, colui che preannuncia sempre disastri. La frase, probabilmente, deriva dall’antica tradizione romana di trarre gli auguri, cioè gli auspici, dall’osservazione del volo degli uccelli, annunciatori per eccellenza del volere divino. Ma potrebbe anche alludere alla superstizione popolare che ritiene di cattivo augurio il verso di certi uccelli come la civetta e il gufo: sciò sciò, ciucciuvé!


O’ Munaciello

È lo spirito più temuto e nominato dei napoletani. Questi è di indole maligna, dispettosa e bizzarra. Al comportamento dispettoso spesso si accompagnano benevoli "lasciti" in moneta contante. In questo caso non bisogna rivelare a nessuno l'episodio, pena l'accanimento del Munaciello nei nostri confronti. Non e' raro un comportamento da maniaco alla presenza delle giovani e belle donne.
Ci sono due ipotesi legate all’origine della sua leggenda: la prima vuole che o’ munaciello sia il figlio illegittimo della relazione adultera tra la ricca Caterinella Frezza e un garzone. Il nomignolo deriva dal fatto che le suore che si occupavano del bambino solevano vestirlo con vesti da frate; la seconda ipotesi  vuole che il Munaciello sia il gestore degli antichi pozzi d'acqua che, in molti casi, aveva facile accesso nelle case passando attraverso i cunicoli che servivano a calare il secchio. I doni che lasciava erano probabilmente omaggi alle donne della casa che intrattenevano con lui relazioni adultere..


'A Bella 'Mbriana

Rappresenta lo spirito benigno. E' una sorta di anti-munaciello. Avere questa presenza nelle case significa benessere e salute. E' rappresentata come una bella donna molto ben vestita paragonabile alla fata delle favole dei bambini. E' anche detta Meriana oppure 'Mmeriana. La Bella ‘Mbriana assume la forma di un piccolo geco se per caso è vista in casa.

La Janara:

La leggenda della Janara, o delle janare, ha origine a Benevento, città tradizionalmente legata al culto delle streghe (ricordiamo che la città fino alle guerre sannitiche si chiamava Maleventum). La  tradizione vuole che il termine janara significhi “seguace di Diana” poiché la dea Diana, venerata dai Romani, corrispondeva alla Artemide dei Greci, identificata con Ecate. In epoca romana si era diffuso per un breve periodo a Benevento il culto di Iside, dea egizia della luna. Questo culto aveva già insiti alcuni elementi inquietanti, a cominciare dal fatto che Iside era identificata con Ecate, dea degli inferi.
Le janare  nella tradizione,  erano fattucchiere in grado di compiere malefici e incantesimi, di preparare filtri magici e pozioni in grado di procurare aborti. Tuttavia non si conosceva la loro identità: esse di giorno potevano condurre un’esistenza tranquilla senza dare motivo di sospetti. Di notte, però, dopo essersi cosparse le ascelle (secondo altri il petto) di un unguento magico, esse avevano la capacità di spiccare il volo lanciandosi nel vuoto a cavallo di una scopa. Nel momento del balzo, pronunciavano la frase:

« Unguento unguento
mandame a la noce di Benivento
supra acqua et supra ad vento
et supra ad omne maltempo. »

La natura incorporea delle janare, faceva sì che potessero entrare nelle abitazioni penetrando sotto le porte o dalla finestra come uno spiffero di vento. Per evitare che esse potessero entrare, dietro alle porte e alle finestre venivano appesi sacchetti di sale o scope. La tradizione vuole che la janara, prima di entrare in casa, dovesse contare tutti gli acini di sale o tutti i fili o le fibre che formano la scopa trovandosi, così,  costretta ad eseguire il compito ma nel frattempo sopraggiungeva l’alba e la ianara era costretta a ritornare nella propria abitazione. la scopa per il suo valore fallico, oppone il potere maschile e fertile a quello femminile e sterile della janara; i grani di sale sono portatori di vita, poichè un’antica etimologia connette sal (sale) con Salus (la dea della salute)
I malefici che una janara poteva provacare erano diversi. La ianara poteva provocare aborti o essere la causa di infertilità, poteva entrare di notte nelle abitazioni e “torcere” i bambini, facendoli piangere per il dolore ed a volte causando la loro deformità

Napoli e il malocchio: un breve excursus

Napoli è una città stratificata: il suo presente vive stretto e nutrito in grembo ad un passato fatto di grecità, romanità, incontri interculturali, sovrani scaramantici, principi misteriosi e santi protettori. Come la sirena Partenope si culla sul mare, illuminata dal Sole, protetta dal Vesuvio, sempre sospesa tra il cielo e l’abisso fatto di contraddizioni, misteri, curiose usanze e personaggi oscuri. 
È la città che familiarizza con San Gennaro e Pulcinella in un’alleanza tra sacro e profano. I napoletani sono quel popolo, assai particolare, che ha stretto un patto eterno con il Malocchio e la superstizione.
Scrive Matilde Serao: “Tutte le superstizioni sparse nel mondo sono raccolte in Napoli e ingrandite, moltiplicate poiché la sua credulità è frutto dell'ignoranza, della miseria e delle sventure che a Napoli si sono alternate dai diversi attacchi del colera all'eruzione del Vesuvio nel 1872”.
Cosa si intende per Malocchio e superstizione?
La credenza nel Malocchio è fortemente radicata nei paesi mediterranei e del vicino oriente. Con il suo termine si indica un intenso flusso di energia negativa che è inviato a un’altra persona o cosa al fine di danneggiarla. Quest’arte nell’antica Roma era chiamata fascinus. L’ammaliatore si avvaleva del proprio sguardo per inviare le energie negative e completare le opere a danno della vittima; uno sguardo intenso e ossessivo, accompagnato da lusinghe, è spesso il suo segno caratteristico.
La superstizione, invece, discende da superstare, stare al di sopra, e indica l’essere testimoni di qualche evento del passato che è riconosciuto come avvenuto davvero. Cicerone dà una connotazione diversa al termine e afferma che sono superstiziosi coloro che pregano tutti i giorni affinché i figli gli sopravvivano.
Il superstizioso è chi cerca di porsi sul piano della divinità al fine di mutare gli eventi, giostrare la fortuna. I Greci vivevano in stretto contatto con la superstizione e la loro esistenza era costantemente alla mercè degli dèi, delle loro passioni, dei loro umori. Chi mediava tra gli dèi e gli uomini era l’oracolo che, in preda a spasmi estatici e mistici, affermava solennemente il suo responso.
Per garantirsi il favore degli dèi, i Greci furono disposti a qualsiasi compromesso: come dimenticare Agamennone che decise di sacrificare ad Artemide la figlia Ifigenia per far sì che i venti fossero favorevoli al suo viaggio?
Il Malocchio, a Napoli, con il nome di Jettatura divenne una vera e propria ideologia verso la fine del XVIII secolo e la coloritura locale che gli fu attribuita la rese unica. In questo secolo ci furono numerosi episodi i cui protagonisti erano gli “jettatori”, in particolare facciamo riferimento ad Andrea De Iorio un famoso archeologo che fu in visita alla corte di Ferdinando IV. Il Re, preoccupato della sua fama oscura, il giorno successivo alla visita morì.